L’accoglienza del pubblico torinese verso Gianfranco Jannuzzo è sempre stata molto calorosa, fin dal debutto, nel 1989, quando Pietro Garinei lo “inviò” a Giuseppe Erba, per il suo Teatro Alfieri, dopo il successo di un mese di repliche al Sistina con lo spettacolo C’è un uomo in mezzo al mare. «Allora il mio fu un miracolo, perché nessuno sapeva chi fossi», ricorda l’attore. «Pieno tutte le sere, con tre tutto esaurito. Per quegli, in un teatro di 1500 posti fu davvero un successo. Una sera Giuseppe Erba venne a trovarmi in camerino e disse a me, che ero un ragazzo di nemmeno trent’anni: 'Ti faccio un facile pronostico: tu lavorerai sempre di meno e avrai sempre maggior successo'».
Il mattatore siciliano è tornato nei giorni scorsi sul palco del teatro Alfieri, protagonista della commedia di Ken Ludwig, Cercasi tenore. «L’ultima volta sono venuto a Torino con Girgenti,amore mio, uno spettacolo in cui dichiaravo non solo il mio amore per la mia città, Agrigento, ma l’amore che tutti noi abbiamo per la città dove siamo nati. Con Torino e Milano c’è un alternanza di due anni, che io sono sempre felice di onorare, perché non si può presentare lo stesso spettacolo per due stagioni consecutive nello stesso teatro».
Questa commedia venne già rappresentata con la regia di Pietro Garinei, protagonista Enrico Montesano. Un tuo ricordo di Garinei?
«Per me è stato un maestro straordinario, intanto perché mi ha preso in un piccolo teatrino romano e mi ha voluto portare al Sistina. E’ stato anche molto coraggioso a investire su un giovane nel quale lui credeva. Ovviamente, mi ha messo nelle condizioni di non deluderlo, mettendomi a disposizione mezzi straordinari (si riferisce ancora a ‘C’è un uomo in mezzo al mare’, n.d.r.). In seguito, mi ha fatto fare coppia con Gino Bramieri per sei anni consecutivi…anche un imbecille avrebbe imparato tante cose da lui! E io imparo tante cose senza sapere che le sto imparando, ma l’impostazione rimane quella di Garinei».
Come hai capito che questo sarebbe stato il tuo mestiere?
«Io mi ritengo un privilegiato perché ho cominciato questo mestiere avendo come insegnante Gigi Proietti, l’attore più poliedrico che abbiamo in Italia. Da entrambi - Proietti e Garinei – imparo che il teatro è indispensabile per gli spettatori, perché vi vedono rappresentati se stessi. Lo spettatore viene ad assistere allo spettacolo sapendo che è una cosa finta, ma deve essere talmente finta da sembrargli vera. Quando questo gioco avviene, è la magia del teatro. Ecco il motivo per cui a me piace e non ci so rinunciare».
Parliamo del tuo personaggio in ‘Cercasi tenore’…
«Penso sia un personaggio stimolante per qualsiasi attore, perché all’inizio è molto timido, imbranato, quasi succube della personalità straripante del suo capo, un impresario senza scrupoli che organizza l’Otello di Verdi a Cleveland, nell’Ohio. Quando indossa il costume di Otello, prende coraggio e ottiene successo».
Un cast particolarmente ‘corposo’, secondo te, in un momento come questo, viene premiato?
«Secondo me, sì. In questo momento paga la qualità. La linea di discernimento per ora riguarda le cose fatte bene o quelle fatte male. Sarebbe il momento giusto per mettere insieme un cast stellare, con attori che, di solito, fanno teatro da soli. Il pubblico apprezzerebbe».
Bisognerebbe trovare anche il produttore giusto…
«Garinei lo fece spesso. Nel mio caso, l’ultima volta fu con Se devi dire una bugia, dilla grossa, in cui al mio fianco c’erano Fabio Testi, Paola Quattrini, Anna Falchi, Cesare Gelli. E il successo arrivò».
Il tuo rapporto con la commedia musicale? Se non sbaglio, la tua ultima esperienza in questo campo risale a ‘E’ molto meglio in due’…
«Non la amo molto, perché credo che noi italiani non lo sappiamo fare come gli americani – e soprattutto gli inglesi, con Lloyd Webber – che lo hanno inventato. Tant’è vero che Garinei nemmeno ci ha provato. Lui ha fatto delle commedie con musiche, non ha raccontato una storia come Cercasi tenore con i vari personaggi che cantano. A Londra, la scorsa estate, la versione musical di questo spettacolo è stata un fiasco. Invece, la commedia in prosa diretta da Stanley Tucci è stata un trionfo per due intere stagioni. Noi abbiamo insegnato al mondo il melodramma, che era la commedia musicale dei tempi di Puccini e Verdi. Ma poi quella strada l’abbiamo abbandonata, secondo me».
Tu sei direttore artistico del Teatro Pirandello di Agrigento. Una tua opinione sulla situazione teatrale in Italia, guardando le cose da questa prospettiva...
«E’ una posizione di grande prestigio, perché è la mia città, la amo molto e quindi farei qualunque cosa per far bene nella mia città. E’ una bella impresa, perché devi comunque suggerire le cose più eterogenee possibili a un pubblico che – si spera sempre – apprezzi. La stagione di quest’anno è molto variegata: abbiamo ospitato lo spettacolo con le gemelle Kessler e un testo di Neil Simon per la prima volta in tournée in Italia, con Giuseppe Pambieri e Lia Tanzi».